Qualche giorno fa mi sono iscritta all'università. Prima di digitare sul tasto recante la parola conferma, mi sono fermata. Avrei finalmente confermato il termine di cinque anni della mia vita, finiti con un silente e del tutto insoddisfacente saldo all’equilibrio. Sarò onesta, lasciarmi alle spalle un periodo tanto lungo quanto inteso, tuttavia ad oggi rovinato da un ultimo anno sofferto, era tutto ciò che a partire dall’inizio delle difficoltà avevo sempre desiderato. Ma avrei forse anche confermato la fine di tutti quei rapporti o quelle esperienze che per forza di cose – mi permetto di usare una perifrasi che lasci alla fantasia di ciascuno la sua interpretazione – mi ero lasciata alle spalle o mi avevano lasciata alle spalle? Se così fosse stato non avrei mai potuto spostare il mouse su quella casella blu ceruleo e procedere con l’operazione.
Torno leggermente indietro per cercare di spiegare in modo più comprensibile la ragione di questa affermazione. In cinque anni di superiori si acquisiscono così tante nozioni che nel momento esatto in cui si riceve il foglio bianco a righe timbrato dal Ministero dell’Istruzione e del Merito durante la prima prova della maturità, il vero dilemma non è cosa scrivere ma cosa non scrivere. Cosa merita di essere trasposto su quella pagina linda e cosa invece può rimanere segregato nei meandri più sconosciuti della mente? Questa scelta da una parte è guidata dalla consegna che restringe visibilmente la rosa degli argomenti trattabili, dall’altra è compiuta in parziale balia di una sensibilità personale che non lascia scampo. Temo – e, lo ammetto, ne sono profondamente spaventata perché in cuor mio so di aver ragione – di aver sempre tralasciato questo aspetto: se da una parte le conoscenze acquisite hanno sedimentato e sono state ascritte a guadagno, dall’altra in questi anni di grande sviluppo e crescita non ho imparato a dosare e usare sapientemente la mia sensibilità.
Soltanto ora che guardo quel rettangolo virtuale mi chiedo in cosa la mia vita potrebbe essere diversa, se nelle poche piccole - che poi tanto piccole non sono - scelte fino ad ora fatte avessi tenuto maggiormente conto delle mie emozioni e sentimenti: non necessariamente con malinconia ma solo per una curiosità quasi infantile che mi porta a immaginare spesso e volentieri scenari alternativi a quello presente.
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Rimpianto, Cristian Sonda (graffite) |
Se avessi lasciato più spazio a quella mia parte fragile e emozionale, cosa sarebbe successo?Se avessi richiesto esplicitamente delle scuse per ricominciare, forse ci sarebbe ancora un rapporto. Se non avessi calcolato in un’ottica di guadagno e perdita gli incontri che avevo fatto, forse ora sarei più sicura dei rapporti costruiti. Se avessi avuto il coraggio e l’umiltà d’animo – perché alla fin fine non v’è l’uno senza l’altra – di parlare a cuore aperto e, perché no, di litigare, forse ora non mi sentirei amputata di una parte. Se non avessi avuto paura di fallire, forse sarei giunta alla grande scelta dell’Università con più tranquillità. Se, solo se. Fino a quel momento, ho pensato di essere troppo giovane per i rimpianti o semplicemente mi illudevo non mi appartenessero. Mentre guardavo quella casella celeste spiccare sullo sfondo bianco invece, mi chiedevo se confermando quella fine e, al tempo stesso, quell’inizio, avrei reso tali tutti i miei se, rinchiudendoli in un luogo lontano della mia mente da portare in superficie solo nei momenti di estrema malinconia.
Qui, nero su bianco, in un diario di bordo personale in una forma tale da essere reso pubblico, lascio questo monito a me stessa di vivere con più coraggio i rapporti umani che instauro e le scelte personali che compio, eliminando un qualsiasi timore di solitudine o fallimento, dicendo esplicitamente ciò che desidero a me stessa e agli altri, ma soprattutto dando maggior spazio alla mia sensibilità. Questa pagina non è la panacea dei problemi affrontati – o quasi – quest’anno, né tanto meno pretende di elevare i miei giovani e ancora realizzabili se alla categoria adulta e perenne dei rimpianti. Questa pagina è uno sprone rivolto tanto a me quanto a chiunque stia leggendo e si senta in qualche modo rappresentato: i rimpianti diventano tali nel momento esatto in cui si smette di prodigarsi per realizzare quei se che si incontrano per la strada, nel momento in cui non si coglie l’opportunità perché si teme di fallire o si rinuncia al dialogo per orgoglio o tra le due si sceglie l’opzione immediatamente fruibile e apparentemente perfetta pensando che sia possibile togliere un desiderio dalla nostra mente, come si tolgono i semi dall’anguria.
Qualche giorno fa mi sono immatricolata alla università. Prima di digitare sul tasto recante la parola conferma, mi sono fermata il tempo per ripromettermi che quei se, che come tutti, ad ogni età, mi porto dietro, non sarebbero divenuti rimpianti.
Poi con l’indice ho sfiorato il cursore e in un attimo tutto è finito e tutto è cominciato.
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