Rimedi alla solitudine




Tra maggio, giugno, fino alle porte di luglio 2023 sono arrivati a compimento tutti quei percorsi nei quali nell’ultimo difficile anno di quinta superiore avevo riversato ogni mia energia. Man mano che gli impegni giungevano a compimento – le ripetizioni impartite che si prendevano le vacanza estiva, l’anno di
animazione conclusosi a maggio, l’esito delle elezioni tra maggio e giugno, l’orale di maturità il 5 luglio – vedevo la mia vita svuotarsi e con la coda dell’occhio intravedevo l’ombra funesta
  di un’estate ricca di spaventoso tempo libero che non avevo organizzato e, soprattutto,  in balia di una scelta universitaria sofferta. Non sapevo cosa fare, né con chi. Non c’era più lo studio comunitario pomeridiano in sede elettorale, né i volantinaggi soprattutto notturni, mancavano i volti dei miei compagni che mi avevano sostenuto nell’anno e anche quelli di coloro che erano divenuti solo figure sbiadite nella foto di classe o tra i corridoi pluricentenari di un Pigafetta già percepito come lontano.  Così, libera da ogni impegno, mi sono sentita sola. Ma non una solitudine dettata da una qualche consapevolezza di avere – o non aver nemmeno - un esiguo numero di amici, bensì una sua forma più viscerale che si elevava a sentirsi sola con i propri pensieri, con le proprie scelte, con le proprie paure,  ponendomi in un gioco alla  falli fuori o faranno fuori te per dirlo in termini drammatici. Sebbene in un primo momento, ancora antecedente all’ufficiale chiusura di ogni occupazione, mi sia abbandonata a un pianto che a posteriori definirei più liberatorio che disperato, in un secondo momento ho iniziato a redigere una lista di possibili opzioni per liberarmi definitivamente del peso della quinta superiore senza alcuna pretesa che queste potessero essere elevate al rango de la Soluzione.


1.     1.       Un piantino al giorno toglie il medico di torno

Detto in termini così puerili potrebbe riecheggiare tra le pareti cerebrali di un lettore d’occasione come una banalità senza arte né parte. Eppure lo sfogo concreto di emozioni profonde che sfuggono alla comprensione razionale, è stato per me un modo per estraniarle, per riconoscerle come altro da me nel momento in cui uscivano dalle ghiandole lacrimali inumidendo il cuscino, la manica o il fazzoletto di turno. Piangere fa bene, non solo psicologicamente, ma soprattutto da un punto di vista fisico: infatti nell’esatto momento in cui le lacrime iniziano a rigare il viso si attiva il sistema parasimpatico con la produzione dell’ormone  adrenocorticotropo, deputato alla gestione dello stress, e delle encefaline, di fatto degli antidolorifici naturali. Insomma, anche piangere può portare i suoi benefici.


2.     Le doute n'est pas un état bien agréable, mais l'assurance est un état ridicule 

Una volta ho letto un articolo di un calciatore che prima di ogni partita si diceva una frase di sprone per giocare al meglio. Sebbene il mio livello calcistico sia riassumibile nel comico evento nel quale a un partita di calcio solidale ho tirato il rigore prima del fischio dell’arbitro, ho fatto mio questo insegnamento sportivo. Dal numero ingente di aforismi e citazioni volteriane sul tema del dubbio che in questi mesi hanno aleggiato nella mia mente, posso dedurre che anche il loro autore  riconoscesse la difficoltà di farne fronte. Questa in particolare, nel quale la condizione del dubbio è additata come non piacevole ma qualitativamente superiore a quella ridicola della sicurezza, ha dominato fino a fine agosto il blocco schermo del mio cellulare e la carta bianca di un foglietto ripiegato con cura e riposto nel cassetto del comodino, per ricordarmi sempre che porsi delle domande, avere dei dubbi qualifica maggiormente l’esito della scelta finale che quindi non è da temere ma anzi da ricercare attraverso il continuo dubbio, un passaggio obbligato se si desidera rispolverare un po’ di filosofia agostiniana.




3.     Party girls don’t get hurt

Si può esser soli anche tra mille persone nel momento esatto in cui non percepisci in chi ti sta
intorno una vicinanza di cuore più che spaziale o di pensiero. Qualche giorno prima del mio diciannovesimo compleanno ho stilato una lista di persone la cui presenza mi avrebbe rallegrata e poi via via aggiungevo i loro amici più cari, fidanzati e fidanzate fino ad arrivare al numero di trenta persone che sapevano mi avrebbero fatto bene. Per la prima volta, ho dato una festa di compleanno nella quale mi sono sentita abbracciare da quel gruppo di persone scelte e non, mentre soffiavo le candeline ho compreso come quel periodo di solitudine, sebbene triste e in balia di numerosi pianti, mi avesse aiutato a comprendere chi fossi felice di vedere quella sera e di chi invece sentivo la mancanza.

Mentre rileggo questo piccolo tutorial su come superare la sensazione di solitudine, estraniandomi da questa pagina per identificarmi in un lettore qualsiasi, sorrido a vedere me stessa, ragazza di diciannove anni per cui un sassolino appare ancora grande come un macigno finché non lo prende fra le mani. E così mentre mi cullo nella mia ingenuità osservo il mondo degli adulti, inizio a farne parte, ma nel tempo libero torno qui a piangere per un’amicizia perduta, per leggere frasi filosofiche con il fine di  fingermi poco più grande e per dare feste adolescenziali annacquando con la coca-cola zero la paura di diventare grande. Magari, chi lo sa, un giorno definirò tutto questo crescere.

 

 

 

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